Terremoto in Irpinia, quarant’anni dopo la ferita è ancora aperta

Quasi 3mila morti, oltre 8mila feriti e 300mila senzatetto. Il bilancio del terribile terremoto di magnitudo 6.9 che alle 19.34 del 23 novembre 1980 colpì la Campania e la Basilicata pesa ancora oggi. Quarant’anni dopo, l’Irpinia non dimentica i ritardi nei soccorsi e la lentezza di una ricostruzione infinita che lascia i suoi segni ormai indelebili sul territorio. 

Per giorni i gemiti di chi fu travolto dalle macerie continuarono a salire dai cumuli di pietre e calcinacci. Fu l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, a denunciare con voce ferma la situazione. “Ancora dalle macerie si levavano grida di disperazione di sepolti vivi”, disse in tv dopo aver visitato la zona. Fu l’inizio di un nuovo capitolo nella gestione dei soccorsi e ben presto prese forma la struttura su cui oggi di basa la nostra protezione civile.

I comuni più vicini all’epicentro – Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania, Castelnuovo di Conza, Santomenna, Laviano, Muro Lucano – furono praticamente rasi al suolo. Il 74% dei paesi nelle 8 province colpite dal sisma (Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia) registrarono danni. “Nella ricorrenza del piò catastrofico evento della storia repubblicana desidero anzitutto ricordare le vittime, e con esse il dolore inestinguibile dei familiari, ai quali esprimo i miei sentimenti di vicinanza”, dice oggi il presidente Mattarella. “Profonda è stata la ferita alle popolazioni e ai territori. Immensa la volontà e la forza per ripartire”.